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IL VENERABILE DON ANTONIO PALLADINO: BREVE ANALISI SUGLI ASPETTI SOCIALI DELL’OPERA DI UN “INNAMORATO DEI POVERI”…

Il Centro Studi e Ricerche “Torre Alemanna”, l’Archeoclub d’Italia Sede di Cerignola e il Museo Etnografico Cerignolano (1979) vogliono ricordare il VENERABILE Mons. Antonio Palladino nel 136° anniversario della Sua nascita. E in questa occasione ci piace accogliere, pubblicando, un egregio intervento scritto, dell’amico Dott. Giuseppe Pugliese inerente la sua Tesi di Laurea “L’IMPEGNO NEL SOCIALE DELLA COMUNITA’ DI SAN DOMENICO IN CERIGNOLA”. Un egregio lavoro di Ricerca e di Approfondimento teso a far emergere l’interessante impegno nel sociale della Comunità di San Domenico in Cerignola, iniziato e portato avanti da Don Antonio Palladino nel Rione “Cittadella”, Rione socialmente tenuto lontano dalla cultura ufficiale del suo tempo. Uno “spaccato” storico-sociale della nostra Città. Un lavoro condotto con scientificità e professionalità, ai quali vanno aggiunti l’amore e l’impegno culturale per l’intera collettività.


IL VENERABILE DON ANTONIO PALLADINO:

BREVE ANALISI SUGLI ASPETTI SOCIALI DELL’OPERA DI UN “INNAMORATO DEI POVERI”…

In occasione del 136mo anniversario d’inizio della vicenda tra gli uomini del Venerabile Sacerdote Antonio Palladino (10 novembre 1881-15 maggio 1926), ho voluto rendere al lettore alcuni stralci significativi della mia tesi di laurea “L’IMPEGNO NEL SOCIALE DELLA COMUNITA’ DI SAN DOMENICO IN CERIGNOLA”,  a cui si rimanda per una lettura completa, così da approfondire la conoscenza dell’opera del Venerabile, che potremmo definire un antesignano della “chiesa in uscita” di papa Francesco, ma anche per meglio intendere, e quindi apprezzare, il senso di quel “luogo dello spirito”, religioso e civile, rappresentato dalla chiesa di San Domenico e dalla Piana delle Fosse granarie.

 

IL CONTESTO STORICO

Il primo parroco di San Domenico (il possesso canonico avvenne nel 1909), era inserito in una corrente ecclesiale funzionale ad un sacerdozio pronto a contrastare il pericolo di indebolimento, se non di definitiva soccombenza, della cristianità. Secondo questa corrente, doveva sorgere un modello nuovo di sacerdote, un “prete” che vivesse la sua vocazione con spirito missionario, svolgendo la propria azione pastorale, quindi la “missione”, in tutto il territorio della città, in ogni quartiere, in ogni angolo sotto al Cielo. Questo nuovo sacerdote, doveva andare “oltre” il devozionismo e doveva far sorgere “nuove sensibilità” nei credenti. Inevitabilmente i credenti, appunto, furono “confusi” da questa novità, sia in senso positivo che negativo: alcuni non capirono l’articolato impegno di “questi preti”, come i membri delle confraternite o gli stessi sacerdoti “tradizionalisti”; altri videro accrescere il loro entusiasmo e abbracciarono la causa di questa riforma del mondo presbiterale. Don Antonio Palladino, potremmo dire quasi profeticamente, nacque all’inizio dell’Epoca Sociale, quel tempo dettato da “sconvolgimenti sociali” e da affermazioni di identità umane ed ecclesiali […]. Gli anni in cui divenne sacerdote Antonio Palladino, per Cerignola furono alquanto difficili: gli scontri tra le classi erano in continuo acutizzarsi, e questo, spesso, faceva  sfociare le tensioni in azioni armate sanguinose. Il vescovo Angelo Struffolini, per arginare il sempre crescente potere degli anticlericali,  e seguendo l’esempio di altri vescovi italiani, volle istituire degli oratori a guisa di quelli fondati da Don Bosco. Per questo progetto coinvolse don Palladino, molto amato dai giovani, ricco di fervente fantasia funzionale a sempre nuovi progetti. Anche perché il Palladino era “Cooperatore Salesiano” dal 1896. Insieme concordarono l’istituzione di un Ricreatorio Festivo Don Bosco, il cui motto era ”Non vi è morale senza religione”.

 

CAMBIARE IL MONDO CON LA FEDE E LA POLITICA

L’azione pastorale palladiniana, rivolta al sociale, si svolgeva nella sua “originalità”, s’intende per un ambito ecclesiale meridionale, recependo tutte le direttive provenienti dall’enciclica papale “delle cose nuove” (Rerum novarum). Don Palladino, per un’azione concreta nel suo “mondo parrocchiale”, si prodigava per creare sempre nuove associazioni laiche; solo così, egli pensava, si poteva dare impulso ad un territorio, e ad una realtà sociale, così difficile; solo attraverso la fede si poteva cambiare il territorio e quindi il mondo.

Ma intervenire nel mondo voleva dire, anche, dare un contributo alla politica, perché la polis è pur sempre quella parte d’universo abitata dai figli di Dio. In questa prospettiva, e guardando con vivo interesse al Movimento Cattolico in Italia, molto debole nelle regioni meridionali e in Puglia in particolare, don Palladino decise di partecipare ad un convegno dei cattolici che si tenne a Foggia il 9 e il 10 aprile del 1918. I cattolici volevano preparare il popolo italiano per il dopo-guerra e per tale motivo erano attivi nell’organizzazione di convegni e conferenze. Quello di Foggia fu un convegno che si svolse in “forma privata” e vide la partecipazione di molti delegati, circa quattrocento; tra questi i vescovi di Foggia, Cerignola-Ascoli Satriano e Troia. Presente era anche don Luigi Sturzo, impegnato nella fondazione del Partito Popolare Italiano. Don Antonio Palladino nel suo intervento usò parole forti,  che lasciarono il segno; egli, descrivendo la questione sociale della sua terra, disse: “Chiamiamoci rei anche noi cattolici […], usciamo di sagrestia, spargiamoci nel popolo con la parola di Gesù sul labbro, con la sua carità nel cuore”. Proseguì confermando l’avversione alle “leghe socialiste” e proponendo l’organizzazione di “leghe cattoliche”, affiancate da “leghe di contadini”, in collaborazione con “associazioni di proprietari” ispirate dai principi cristiani. Quindi, la proposta “politica” per la Chiesa, fu quella di andare oltre la  concezione stantia della Chiesa stessa, andare oltre il suo essere “chiusa” nei propri metodi e nei propri privilegi. La nuova Chiesa, avente come obiettivo la formazione di una nuova società, doveva inserirsi nella Storia con l’uomo e per l’uomo; doveva rendere protagonista l’uomo, non nel senso di essere “sganciato” da Dio, ma attraverso scelte propriamente cristiane che mutassero il percorso del cammino esistenziale dell’umanità.

 

IL CONTRIBUTO DELLE DONNE NELLA EVANGELIZZAZIONE

Importante, nella società che si voleva costruire, era l’impegno delle donne; in tale prospettiva don Palladino si mosse attraverso due binari: quello religioso e quello laico. Dal punto di vista religioso egli, sorretto dalla fede di tre ragazze (Ripalta Vasciaveo, Michelina Colucci e Michelina Moscarella), istituì nella parrocchia il “Terzo Ordine Domenicano” che, in seguito si evolverà, almeno nella sua parte femminile,  nella Congregazione delle Suore Domenicane del Santissimo Sacramento. Dal punto di vista laico, don Palladino fondò, nel 1916, la Casa dell’Immacolata, una struttura per poter accogliere e formare moralmente, e religiosamente, bambini, adolescenti e ragazze in pericolo di deviazione. La casa, avente anche una piccola cappella, era divisa in tre reparti: il reparto ricamo, il reparto biancheria e il reparto asilo-scuola. Presto la casa divenne un punto di riferimento per il quartiere, in ispecie per i più bisognosi. Importante fu anche la formazione professionale che si diede alle giovani donne, il tutto in una prospettiva lavorativa futura. In questa struttura nessuno veniva rifiutato e veniva aiutato anche finanziariamente .

Però don Palladino non si accontentava,  era pervaso da uno spirito d’azione e voleva unire gli organismi che, nel corso degli anni, si erano creati all’interno della parrocchia. L’intento era anche quello di arrestare il proselitismo condotto dai socialisti nel quartiere La Cittadella, localizzato in un territorio un po’ più distante dalla chiesa di San Domenico. Nacque così l’Istituto Parrocchiale Femminile San Domenico che ebbe la sede definitiva presso una nuova chiesa dedicata alla Madonna del Buon Consiglio. E’ in questa struttura ecclesiale che nacque, quale ulteriore sintesi organizzativa, la Pia Opera del Buon Consiglio, presso cui, già agli inizi, dimoravano tanti orfanelli e fanciulle disagiate; la struttura ospitava anche un asilo e un laboratorio femminile.

 

IL “PADRE”, NON IL “MAESTRO” PALLADINO

Sono queste azioni pastorali, piuttosto che la speculazione e lo studio, a dare una specificità a tutta la vita sacerdotale del Palladino. Questa sensibilità verso le problematiche del tempo, quelle della sua terra e dei suoi fratelli in Dio, lo indussero a creare sempre opere sociali e istituzioni caritative (come la “cucina economica”, istituita in collaborazione con il parroco della chiesa del Carmine, don Pasquale Curci, cucina che dava pasti gratuiti a tanti cittadini in difficoltà, anche non credenti), ma anche congregazioni spirituali, per andare in soccorso, materiale e spirituale, dei poveri e dei reietti della società. Perché, nel suo agire verso la povertà e la questione sociale, non si poteva prescindere dalla dimensione religiosa e morale. Un agire permeato dalla bontà piuttosto che dall’elaborazione intellettuale e concettuale; più un agire da “padre” che da “maestro”. E tutto questo avvicinava don Palladino a quella moltitudine di preti santi dell’Ottocento-Novecento. E’ significativo che egli, nei dialoghi spirituali con i suoi parrocchiani, si firmasse semplicemente con “il padre”, perché egli volle sempre un rapporto diretto con i suoi fedeli. Egli volle essere amico e guida dei giovani e degli ultimi, proprio in un momento storico così “delicato” che induceva allo scoramento e alla “deviazione”. Riuscì ad infondere nell’animo dei suoi fedeli quello spirito cristiano che fece nascere molte vocazioni religiose, sia maschili che femminili. Eppure non fu facile per don Palladino mettere in pratica la volontà del vescovo, e le sue, in un territorio parrocchiale così particolare, anche perché inizialmente la chiesa era poco frequentata. Certo le difficoltà furono tantissime, poichè, pur essendo uno spirito socievole che lo faceva andare d’accordo con tutti – con i giovani o le anziane, con i ricchi o i meno abbienti – , questo modo di esercitare il sacerdozio lo rendeva inviso agli “avversari politici”, i quali in lui vedevano un “nemico” che sottraeva loro quelle “forze umane” importanti per le battaglie politiche; era inviso ai ricchi perché, pur essendo figlio di una famiglia benestante, li poneva spesso in una situazione di disagio morale. Non infrequenti furono i litigi con la stessa famiglia, perché era solito sottrarre alla casa paterna delle lenzuola, della biancheria o altro utile a creare un corredo alle ragazze sfortunate; ma era inviso, diremmo paradossalmente, anche al clero locale perché lui rappresentava quelle “nuove idee” tanto osteggiate, e soprattutto perché don Palladino aveva tanti consensi tra le masse e questo era fonte di invidia, se non di bassa gelosia. Ma il compito che si diede don Antonio andava oltre tutto questo; egli si considerava uno “strumento” per dare alla chiesa locale una presenza attiva nella società e proprio per questo, oltre all’agire concreto, organizzò in parrocchia un corso di sociologia e di formazione al sociale, con l’intento di preparare uomini pronti ad intervenire in quella dimensione sociale fortemente penalizzata. E anche le donne furono oggetto di riflessione in questo corso, soprattutto sotto il profilo dei loro diritti e del loro ruolo nella società.

 

L’IMPORTANZA DELLA STAMPA: IL BOLLETTINO MENSILE “LA FIACCOLA”

Un aspetto importante della pastorale palladiniana fu l’uso della parola, declamata e scritta, quale ulteriore strumento per formare il vero spirito cristiano nella prospettiva di una società rinata, presente e futura. Egli, ancora una volta, seguendo il magistero del papa – che nell’enciclica Acerbo nimis  aveva parlato dell’importanza, in chiave formativa, della “parola creativa”-, si attivò per far divenire la parola, appunto, “azione” e mezzo per installare negli animi i “segreti di Dio”. Ma non era facile utilizzare la stampa nella realtà cerignolana, dove l’alfabetismo era altissimo, come per tutto il meridione, e questo era un ulteriore elemento che impediva, o meglio rallentava, l’attuazione di una pastorale “nuova”. Malgrado questo, don Palladino fondò il 4 agosto del 1921, il giorno della festa di San Domenico, il bollettino mensile La Fiaccola, con lo scopo di diffondere le varie iniziative parrocchiali, le attività delle associazioni, ma anche temi biblici e altri aspetti culturali, perché “la lettura produce nell’intelligenza umana gli stessi effetti del cibo […], quindi chi attentamente legge le pubblicazioni religiose e morali, arricchisce la sua mente di cognizioni utili e conforta e spinge la volontà ad azioni generose e sante”. L’intento del Palladino era quello di valorizzare e formare le individualità, attraverso la partecipazione alle tante associazioni, per poi creare, sulla base dei principi cattolici e sociali, una “comunità” coesa, forte, per passare “dal cenacolo alla piazza, dalla sacrestia alla città”.

 

L’AMORE CORRISPOSTO DEL POPOLO

E fu proprio il riconoscimento dell’amore profuso da don Palladino, per l’uomo e l’intera umanità, specie per quella sofferente, che indusse l’intero popolo di Cerignola, e gli altri cittadini dei paesi vicini, ad accorrere al suo funerale. Era il 17 maggio del 1926: la morte aveva sopraffatto il suo battito di vita due giorni prima. Per l’ultima volta, e sul letto di morte, aveva indossato l’abito domenicano, perché così aveva chiesto, come segno ultimo di legame con  questa chiesa, ma anche perché tutta la sua opera non sarebbe stata possibile, se non avesse avuto una grande spiritualità propria dei Domenicani. Certo la vita terrena di don Palladino fu brevissima, ma questo non impedisce che di lui si abbia vivo il ricordo fino ai giorni nostri, in ambito ecclesiale e non solo. La sua figura è considerata un punto di riferimento per tutte le pastorali rivolte al sociale; la sua opera è studiata e analizzata in ogni aspetto. Per tutto questo, dal 1994 è stato avviato il Processo di Beatificazione, un iter che sta continuando attraverso i canonici passaggi e che ora, per gli uomini di fede, lo ha già fatto assurgere a Venerabile.

 

Cerignola,  10 novembre 2017                                     Giuseppe Pugliese

 

La foto è tratta da: MATTEO STUPPIELLO, Don Antonio Palladino e il suo tempo, San Ferdinando di Puglia, 1996 p. I.

 

La foto è tratta da: MATTEO STUPPIELLO, Don Antonio Palladino e il suo tempo, San Ferdinando di Puglia, 1996 p. VIII.

 

Tesi di Laurea del Dott. Giuseppe Pugliese