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GIOVANNI PIPINO DI BARLETTA UN INDEGNO FEUDATARIO DI CERIGNOLA NEL 1301

Tanti, troppi, sono stati i FEUDATARI di CERIGNOLA, uno più indegno dell’altro. Il peggiore secondo noi è un  NOTAIO di Barletta: GIOVANNI PIPINO, INDEGNO FEUDATARIO di CERIGNOLA.

La piccola “CIDINIOLA” nel ‘300, di non molti abitanti, con la sua Chiesa Matrice governata dall’Arciprete Nullius e da Sacerdoti, le sue case e, credo, anche con Palazzi e ancora altre Chiese: Santa Maria, Santa Lucia; con i suoi artigiani, ricchi possidenti, contadini e baroni era, comunque, “assediata” dal FEUDATARIO che riscuoteva le tasse e aveva diritto di vita e di morte su ogni abitante.

Ma chi era GIOVANNI PIPINO? Partiamo con le fonti locali. Lo storico, Can. Luigi Conte (1), scrive nella sua pubblicazione del 1853 quanto segue: “[…]Bertrando Artus la vendè (la piccola Cidiniola n.d.a.) ad Ugone de Vicini, e questi a Giovanni Pipino da Barletta milite, maestro razionale, e familiare […]”. Nella seconda pubblicazione dello stesso Can. Luigi Conte, del 1857, leggiamo: “[…] Nel 1283 Bertrando Artus  la vendè ad Ugone de Vicini, e questi nel 1308, la vendè a Gio. Pipino di Barletta, milite maestro razionale e familiare […]” (2).  Più vicino a noi, il Prof. Tommaso Pensa, nella sua ampia “Scheda” su Cerignola (3), pubblicata nel 1903, riporta quanto scritto dal Can. Luigi Conte. Segue, nel 1915, il Prof. Saverio La Sorsa, che nella sua pubblicazione su Cerignola scrive: “[…] Venuta la dominazione Angioina, la nostra città  tornò alla Regia Corte, ma ben presto fu ceduta a Bertrando Artus che nel 1283 la vendè a Ugone de Vicini; questi la tenne fino verso al 1300, e poi la cedette a Giovanni Pipino di Barletta “milite, maestro razionale e famigliare” […]” (4);  continua La Sorsa (5) soffermandosi su di un’aspra disputa tra Feudatari per i confini territoriali che andremo a considerare più avanti. Come si può notare c’è la stessa informazione che viene riproposta da uno all’altro. Lo storico Luigi Conte attinge per primo la notizia da Lorenzo Giustiniani nel suo Dizionario geografico ragionato del Regno di Napoli, Napoli, 1802, Tomo IV. p. 42. Noi andiamo oltre.

La Famiglia PIPINO di Barletta “Di modestissima origine, seppe elevarsi a nobile condizione mercè il favore dei più potenti principi che la resero degna di molti onori” (6). E’ una Famiglia “[…] originaria francese  e fu portata nel Regno di Napoli da Gualtiero Pipino Consigliere e Capitano di Carlo i d’Angiò, il quale seguendo le armi di lui, stabilì la sua famiglia in Aquila […]” (7). Camillo Tutini (8) scrive a proposito che “[…] la Casa Pipino di Barletta da bassi natali, fu dalla Fortuna accresciuta co(n) molto sp(l)e(n)dore, e grandezza, a(l) te(m)po del primo, e del secondo Carlo […]”. Riportiamo le diverse baronie possedute dalla Famiglia PIPINO: Accetturo, Altamura, Alveto, Andria, Balbano, Campoli, Castelgrande, Castromaldo, Ceccano, Cerignola, Cerzano, Gualdo, Maldo, Pascarola, Picerno, Radia, Rapone, Roccagloriosa, Rodi, Rojario, Sandonato di Abruzzo, Sanlorenzo di Strada, Sansevero, Santagiusta, Santamaria in Arco, Santandrea, Senarica, Soplezzano, Solito, Torremaggiore, Tortobuono, Trivento, Viggiano, Vignola, Zinco – Contee – Lucera  1310,  Minervino 1271, Potenza 1310 , Troia-Vico 1310 (9).

Torniamo al nostro personaggio: GIOVANNI PIPINO.

Scrive Camillo Tutini (10) : “[…] Ritrovavasi in questa Città Gio. Pipino. Il quale essendo Notaio publico; fù da Carlo primo impiegato ne gli affari pecuniarij delle Provincie di Terra di Bari, Otranto, e Puglia: Amministrò questo carico con molta accuratezza: usando ogni industria nel servigio del Re; e del suo figliuolo; provedendo il Palaggio Reale di quanto facea di bisogno al vitto della Corte; di modo, che con questi maneggi cominciò à farsi ricco aggiungendo di questi Autori, che la maggior parte delle sue ricchezze acquistate egli, quando da Carlo II. Hebbe la Commissione di scacciare i Saraceni di Lucera di Puglia, e introduvi i Christiani, ove è fama, che ritrovò grandissimi Tesori, perche in breve tempo comprò Castelli per Niccolò suo unico figliuolo, e non per Nardo (come altri dicono) fù poscia creato dal Re Maestro Rationale ; Ufficio che non si dava se non à persone Nobili[…]”.

Federico II di Svevia stronca in più riprese le insurrezioni degli Arabi in Sicilia, già sottomessi dai Normanni nel XII secolo. Le operazioni definitive di Federico II portarono al trasferimento degli Arabi di Sicilia a Lucera, lontani dalla Sicilia e dall’Oriente. Inizialmente riottosi, gli Arabi mettendo in atto anche qui, a Lucera, tentativi di insurrezione e Federico II stroncò pesantemente contro i capi delle insurrezioni. Ma l’abile Imperatore seppe trasformare l’odio in pacificazione. Produsse una serie di decreti a favore della colonia Saracena di Lucera che portò ampi benefici, progresso e soprattutto pace. La colonia si accrebbe numericamente sino ad arrivare a circa 60.000 abitanti musulmani, anche se gli storici non sono in pieno accordo, ma le cifre si avvicinano all’incirca alla predetta numerazione. Gli Arabi di Lucera erano gran parte contadini; pagavano le tasse all’Imperatore; ebbero possibilità di avere terreni e coltivarli; allevavano numeroso bestiame; alimentavano il commercio; furono specializzati artigiani, così scrive Tonino Del Duca: “[…] sellai, tappezzieri, intarsiatori, carpentieri, armaioli, fabbricatori  di armi e ancora altri […]” (11 ). Coesistevano pacificamente Musulmani e Cristiani. Divennero così estremi difensori di Federico II.  Gli Arcieri erano il gruppo più fedele dell’Imperatore. Attingiamo ancora da Tonino Del Duca scrive che: “[…]I Mori, quindi, costituiscono il nucleo permanente dell’esercito imperiale  e si dimostrano fedelissimi verso il Sovrano, che ha concesso loro vita, lavoro e libertà religiosa dopo la rivolta del 1226. Il loro armamento è assai semplice e consiste in un arco con la faretra di frecce con la punta spesso avvelenata; combattono chi a piedi e chi a cavallo e inoltre sono esperti in speciali mezzi di offesa, a secondo della necessità … In Lucera vengono allevati anche animali esotici: leopardi…, cammelli, dromedari, pantere, leoni, falchi bianchi, iene ed orsi […]” (12 ).  Lucera era diventata una Città dell’Oriente. Scrive Mons. D. Vincenzo Di Sabato: “[…]La città, scrive l’Egidi, con le moschee, e con i minareti dai quali le voci dei moezzin invocavano giornalmente Allah e il suo profeta, con le strade piene di uomini dai volti bruni e che parlavano arabo, spesso perlustrate da arcieri della guardia reale o dai corpulenti eunuchi dalla testa rasa, gli eunuchi che accompagnavano le lettighe, da cui occhieggiavano le velate fanciulle dell’harem imperiale, doveva realmente dare l’impressione di una città della Siria. E allo sconosciuto che nell’oscurità della notte udiva l’eco della voce del moezzin e il ruggito dei leoni o il barrito degli elefanti, deve aver dato l’impressione di trovarsi ai confini del descritto, anzicché nel centro della vasta pianura pugliese” (13 ).  Vi erano più minareti. “[…] la sontuosa moschea, costruita là dove ora si erge la cattedrale, che raccoglieva le grandi assemblee di fedeli alla istruzione e alla preghiera comune…la città fu detta Luceria Saracinorum […]” (14).

Siamo così giunti alla parte peggiore del nostro FEUDATARIO GIOVANNI PIPINO DI BARLETTA.

Dopo la “caduta” degli Svevi, Carlo I d’Angiò tentò di mostrarsi indulgente ma le ribellioni erano molto sostenute. Il re Carlo II d’Angiò decise di sterminare definitivamente i Saraceni. Per lo sterminio viene “scelto non un uomo d’armi , ma un notaio, Giovanni Pipino di Barletta”, al quale vengono dati ampi poteri. Metterà in atto in piano dove prevarranno l’astuzia e l’inganno più che la forza. In parte saranno trucidati e saranno quelli che non vogliono diventare cristiani (15). “[…] Sotto questo re si compì l’orrendo eccidio dei Saraceni, che in numero elevatissimo, con inaudita truculenza vennero passati per le armi in quel tragico agosto del 1300, che segnò la fine della civiltà araba a Lucera e in Puglia. Qualche cronista parla di circa ventimila uomini trucidati in quel tragico ferragosto [..]” (16): infatti, tutto ebbe inizio nel giorno di ferragosto, festa dedicata alla Vergine Assunta. Altri furono trasferiti in altre regioni d’Italia. I capi imprigionati e trasportati nelle carceri napoletane. Circa 10.000 Saraceni vengono venduti come schiavi. Ma il vero motivo, della distruzione della colonia Saracena di Lucera, come affermano gli storici, non era di carattere religioso, ma solo quello di impossessarsi di tutto ciò che era dei Saraceni. Giovanni Pipino, in nome del Re Carlo II d’Angiò, confiscò tutto ciò che apparteneva agli Arabi. Dopo questo inaudito scempio la Città di Lucera fu ripopolata e ricostruita con la sua Cattedrale intitolata alla Vergine Assunta sul posto dove sorgeva la maestosa Moschea.

Ecco il grande “merito” (per lui e del Re Carlo II d’Angiò, lo zoppo, detto “il pio”): l’aver distrutta la colonia Saracena di Puglia e ripristinata la Cristianità. Scrive Matteo Camera quanto segue: “[…]La vittoria riportata sui saraceni di Lucera fruttò al Pipino grandi onori e ricompense; e le ricche loro spoglie, servirono ad impinguare le regie finanze, ed  anche a riparare i danni ivi sofferti da’ Cristiani…per siffatta impresa, re Carlo ricompensò Giovanni Pipino, con donargli il castello di Ceglie, e la terza parte di Soleto in Terra di Otranto; non che una casa, vita sua durante, che prima appartenevasi al defunto Sparano di Bari, situata a Napoli “in platea que dicitur caput Monteroni in oppositum ad monasterium Sancti Festi”(1308-1309). Oltre a ciò, Carlo conferì al medesimo l’uffizio di Contestabile di Lucera, come pure assegnogli alcune prestazioni curiose, che alla di lui morte vennero riconfermate al suo figliuolo Niccolò Pipino, conte di Minervino […]” (17).  Proseguiamo leggendo l’opera scritta da Matteo Camera il quale ci fornisce ulteriori notizie più dettagliate su GIOVANNI PIPINO: “[…]Giovanni Pipino milite maestro razionale della M. Curia, e valoroso capitano sotto Carlo II, espulse la colonia de’ saraceni dalla città di Lucera nell’an. 1300 (v. av. Pag. 77 segu.), e dalla sovrana munificenza venne arricchito di ampli feudi. Fu signore di Cerignola, di Minervino (che comperò verso l’anno 1309 da Agnese figlia del quond. Milone de Dornay milite) e di Rodi in Capitanata; di Ceglie de Galdo in Terra di Bari; della terra di Perrorio (Pretore) in Abruzzo; di Cirigliano, Picerno, Vignola, Balvano, Rapone, Castelgrande (castrum de grandis), Accettura, Biano (?), Castromediano (Castelezzo), Bellotto (?) e Trifoglio (?) in Basilicata; di Roccagloriosa nel Principato citer.; di Castrignano, Maglie e Supersano in Terra d’Otranto ec. Lo storico Costanzo (lib. VI) scrisse “che fu fama, che le ricchezze di Giovanni Pipino per la maggior parte avesse acquistato, quando fu commessario a cacciare i Saraceni di Lucera di Puglia…. Ove si crede che trovò tesori grandissimi” – Ei sposò Sibilia di Bisceglia (de Vigiliis), la quale, dopo la di lui morte fermò dimora nella suaccennata terra di Rodi – Dalla loro unione nacquero un maschio a nome Nicola e tre femmine, cioè Angiola sposata poi a Niccolò della Marra patrizio di Barletta, ultimo figlio di Risone; Maria maritata prima con Angelo de Messanello milite, e poscia nel 1309 con Adenolfo d’Aquino conte di Ascoli; e Margherita che sposò Gasso de Denicy conte di Terlizzi, signore di Ruvo e maresciallo del regno. Costei nel 1338 chiese ed ottenne da re Roberto l’assenso per poter disporre della somma dio 300 once sui redditi del suo Castello di Ceglie-de Gualdo, “quia gravida est timet mortem” (olim ex regest. an. 1337-1338-1339  fol. 125 v.°) […]”(18).

Ora passiamo ad un altro “capitolo” della vita di GIOVANNI PIPINO che sembra fatta di tanta generosità,  di profonda carità, cristianità e ammirevole devozione.

Difronte all’ingresso principale, la “Torretta” di Castelcapuano o Castello di Capuana (sec.XII), la caratteristica e antichissima Via dei Tribunali, dopo averla percorsa per intero, in salita, finalmente si arriva in Piazza Luigi Miraglia dove si staglia l’imponente Campanile (19) con l’ingresso laterale  sottostante che immette all’interno della storica e artistica Chiesa in stile Gotico di San Pietro a Maiella. Segue l’attiguo ex Monastero dei Padri Celestini. “I Padri rimarranno nel convento fino al 1799, allorché esso verrà soppresso, per essere destinato nel 1826 a sede del Conservatorio di musica” (20).

Attingiamo sempre dalle fonti storiche quelle più accreditate per avere ulteriori notizie su GIOVANNI PIPINO e la Chiesa con l’annesso Monastero di San Pietro a Maiella. Camillo Tutini scrive: “ […]Edificò  in Napoli il Monasterio di San Pietro Celestino (detto à Maiella) e lo dotò di buone rendite[…]” (21). Gennaro Aspreno Galante, “Prete Napolitano” scrive nella “Guida Sacra della Città di Napoli” (22) quanto segue: “[…] – S. Pietro a Maiella – Pipino da Barletta  terror dei Saraceni, che discacciolli tutti dalle province napolitane, e però da semplice notaio ascese ai primi onori del Regno sotto Carlo II d’Anjou, verso il 1299 edificò questa chiesa di vero e perfetto stile gotico, sacra poi a S. Pier di Morone eremita di monte Maiella presso Isernia, che fu Celestino V. lo stesso fece  il contiguo  monastero de’ Celestini […]”. Lo stesso Galante continua “[…] è la tomba di Giovanni Pipino da Barletta, fondatore della chiesa e del cenobio, coll’iscrizione che comincia: Innumeris annis; ei morì nel 1316. […]” (23).

Non tutte le fonti antiche concordano sull’anno di costruzione della Chiesa di S. Pietro a Maiella, sulla prima dedicazione a S. Celestino V, sullo stesso committente Giovanni Pipino di Barletta. In merito a questi dubbi leggiamo quanto riporta un autorevole storico napoletano Gaetano Filangieri, Principe di Satriano, nella nota 2 che lo trova pienamente d’accordo: “[…] essendo tal Chiesa eretta ad honore di S. Pietro Celestino, ciò bisognava che avvenisse dopo la sua canonizzazione, la quale avvenne nell’anno 1313, essendo stata fatta da Papa Clemente V°, nell’ottavo anno del suo Pontificato, come viene avvertito dal P. D. Lello Marino nella vita di esso S.Pietro…e dall’Abate D. Celestino Telera nelle Historie Sacre degli huomini illustri per santità della Congregatione de’ Celestini, nella quale vi inserisce la vita del medesimo Santo…e Giovanni Pipino passò da questa vita nell’anno 1411, come si legge nel suo epitaffio, inciso nel suo Sepolcro marmoreo, posto in questa Chiesa, e viene espressamente detto dal Duca della Guardia nel discorso de’ Pipini. E se Giovanni predetto fusse stato l’edificatore di questa Chiesa, come di una opera così pia o generosa da lui fatta, si sarebbe espressa nel suo epitaffio, tanto più che si vede posto in questa medesima chiesa di cui si dice, che fu egli il fondatore, e nello stesso epitaffio esprimendosi di haver esso Giovanni scacciato i Saraceni dalla Città di Lucera e del Regno, raccontandosi di esso, la detta opera egregia da lui fatta, pareva che questa ancora esprimere vi si dovesse, d’haver fondato questa Chiesa col suo Monasterio, come se sono molti gli esempi…Onde si potrebbe dire, che tal monumento fatto a Giovanni fusse stato più presto qui da altro luogo trasportato, che postovi fin da’ tempi della morte occorsa di esso Giovanni, nei quali attender volendo l’opinione del Tarcagnota, questa Chiesa non era ancora stata fondata.[…]” (24).

Veniamo ora al SARCOFAGO di GIOVANNI PIPINO.

Lo troviamo per metà murato nella parete sinistra dove si apre l’ingresso che immette nella sacrestia. Anche questa testimonianza litica affascina per i suoi dubbi. Il SARCOFAGO risulta essere un monolite. La copertura a tetto a due falde, risulta la falda posteriore inserita nella parete come la stessa CASSA giusto la metà. I due spigoli superiori anteriori risultano arricchiti da due ACROTERI terminali. I due lati corti del SARCOFAGO recano scolpito lo STEMMA della FAMIGLIA PIPINO. Altra particolarità, guardando in modo frontale il monolite si evince la presenza di un grosso foro perfettamente circolare praticato sul lato destro quasi allo spigolo inferiore e poco al disopra della fascia epigrafica sottostante.

Come si diceva già prima anche per questo sepolcro si avanzano dei dubbi. Sempre Gaetano Filangieri (26) scrive: “[…] MONUMENTO SEPOLCRALE DI PIPINO DA BARLETTA – Nel lato corto o testa della crociera corrispondente al cornu evangelii del maggiore altare, in piedi al dipinto, rappresentante S. Benedetto, che riceve i giovanetti Placido e mauro, vedesi infisso nel muro per metà della sua larghezza, il sarcofago di Pipino da Barletta, Tav XIV. Questo monumento è coperto come da un tetto a doppia inclinazione, con frontoni triangolari ne’ lati corti, con listelli a piani inclinati tanto sopra che sotto, nonché le armi di casa Pipino in tutte le facce visibili. Le sole parole, che ora vi si leggono, sono le seguenti (25):

Sopra la superficie del coverchio:

†INNUMERIS ANNIS BONITAS MEMORANDA IOH(ANN)IS HVIVS PIPINI  CVIVS / LAUS CONSONA FINI : SPARGITUR ACCEPTA GRATO DULCORE REF / ERTA : NOBILIUM NORMA VEROR(UN) LUCIDA FORMA : CONSILIO POLL / ENS: PROCUL ET TEMERARIA  TOLLENS : NUMQUAM DELIRA REG / NI DIRECCIO MIRA REGUM DOCTRINA IACET HIC PROSTRATA S / UPINA : CRIMINPIBUS MUNDA C(O)ELO POTITURA IOCUNDA / PER QUE(M) BARBARICA DA(M)NATA GE(N)TE SUBACTA :”

(Per innumerevoli anni è da ricordare la benevolenza di questo Giovanni Pipino, la cui lode consona all’intento si diffonde ben accetta, ricoperta di grato riconoscimento, regola e chiaro segno dei veri nobili, potente nel consiglio, che evita completamente imprudenze, giammai (mostra) stravaganze, ammirevole guida del regno: la dottrina dei re giace qui prostrata supina, monda da crimini, che può anelare al cielo, grazie alla quale, sottomessa la barbarica dannata gente)

Sul listello superiore, che unisce i rialzi (antefissi) a piedi del frontone:

GAUDET LUCERIA IAM NUNC XRI(STI)COLA FACTA”: (“Gode già Lucera ora divenuta devota a Cristo”)

Sul listello inferiore in basso dell’arca:

“ANNO MILLE(SI)MO TER CENTUM DUPLICE QUINO: IVNCTO CUM SENO AUGUSTI TER QUOQ(UE) DENO”.  (Nell’anno 1316, trentesimo di regno)

Leggiamo ancora nella stessa pubblicazione alla nota 2 che: “Siccome questo sarcofago, è per metà infisso nel muro…, per il che ignoravasi se la sua faccia opposta fosse adorna di altri segni e iscrizioni; così curammo che a nostre spese, fosse estruso dal muro. Fu quindi constatato, come la faccia verticale posteriore, e la falda opposta del coverchio, fossero lisce. Donde è da arguirsi essere stato per la sua primitiva destinazione ognora disposto in modo da restare col detto lato liscio addossato a una qualsiasi parete, e per la sua disposizione solo visibile da tre lati. E qui cade in acconcio dire, che la qualcheduna delle riforme della chiesa, o per altro avvenimento, tale sepolcro abbia dovuto subire delle profanazioni, e forse essere stato addetto ad uso di pila per riporvi acqua; giacchè vedesi in basso nel lato di fronte un buco cilindrico, che attraversa tutto lo spessore dell’area” (27).

Ma le nefandezze commesse da GIOVANNI PIPINO hanno toccato moralmente, profondamente, anche la nostra piccola “CEDINIOLE” nel 1304. Nella nostra Chiesa Madre si stavano celebrando i funerali del feudatario, della vicina Salpi, GIOVANNI DE LAGONESSA, e  possiamo immaginare la nutrita presenza di Nobili, Cavalieri, altri Feudatari, Clero e Arciprete Nullius di Cerignola, Clero e Vescovo di Salpi (probabilmente), una funzione all’insegna della ufficialità. GIOVANNI PIPINO assolda degli sgherri e durante la funzione fa assassinare CARLO DE LAGONESSA figlio di GIOVANNI. Il motivo era palese, rancori dovuti ai reiterati sconfinamenti dei CONFINI dei due FEUDI limitrofi: “CEDIGNOLE” e “SALPI”. Ripetutamente  i termini lapidei, che delimitavano i confini, venivano dolosamente e costantemente spostati. Mise termine a questo continuo abuso il Re di Napoli CARLO II d’Angiò (28). Le fonti, a mio avviso, confondono GIOVANNI PIPINO senior con il nipote GIOVANNI PIPINO iunior, anche per un rapporto di date. Chi ha commissionato il delitto nella Chiesa Madre  fu il capostipite della Famiglia, GIOVANNI PIPINO  senior.

La superbia e l’arroganza, sono anche figlie del POTERE, anche se sono connotate nel DNA della persona, non si estinguono però con la morte di Giovanni PIPINO ma si trasmettono nella sua discendenza, generando consanguinei sempre più malvagi, baldanzosi, aggressivi, violenti e prepotenti, che per un fatto naturale, per fortuna, prima o poi soccomberanno nel peggiore dei modi.

Deceduto GIOVANNI PIPINO raccoglierà l’eredità  il figlio NICOLO’: ”[…] Questo Nicolo’ diede principio alla grandezza della sua famiglia[…]” (29). NICOLO’ PIPINO “era milite, ciamberlano, conte di Minervino, ed uno de’ principali baroni del regno, prese per moglie Giovanna d’Altamura contessa di Vico, che alla ricchezza de’ natali univa grandi ricchezze. Ei finì di vivere nel 1332 rimanendo quattro figli maschi (Giovanni, Pietro, Ludovico e Matteo) e una femmina a nome Agnese, che fu maritata a Niccolo’ de Ebulo di Capua, Conte di Trivento” (30). Di NICOLÒ PIPINO, FEUDATARIO di Cerignola,  il nostro storico Can. Luigi Conte, scrive quanto segue: “[…] Si trova indi memoria di averla posseduta Niccolò Pipino conte di Minervino nel 1320 […]” (31).

GIOVANNI PIPINO iunior: “[…] Conte di Minervino e Ciambellano  di Re Roberto d’Angiò, uomo di pravi costumi ed ambizioso oltremodo…ritornato nel Regno, superbo per le vittorie ottenute, facendosi chiamare Patrizio, Liberatore di Roma e Illustre Propugnatore della Santa Chiesa, occupò Bari e si intitolò Principe e Re di Puglia. Organizzando un numeroso esercito, taglieggiava le terre del Regno, e specialmente quelle del Principe di Taranto fratello del Re Luigi marito di Giovanna i. Giunse a tal punto di ardimento che il Re cercò di venire a patti, e lo invitò ad andare da lui. Il Conte di Minervino volle prima come ostaggi Ruggiero Sanseverino Arcivescovo di Bari e Giannotto Stendardo, ed avendo ciò ottenuto si portò dal Re; ma fu tale òla sua alterigia e sfrontatezza nel dettare i patti, che il Re, sdegnato giustamente, lo mandò via inviandogli contro un esercito, il quale battuta la gente del Pipino ridusse questi in Altamura sua terra, dove, dopo una lotta accanita, fu fatto prigioniero dal Principe di Taranto, il quale lo fece appiccare ai merli di una torre con una corona di carta sul capio ed un cartello in petto, su cui erano scritte le seguenti parole: Messer Giovanni Pipino Re della Puglia, Cavaliere d’Altamura, Paladino e Conte di Minervino, Signore di Bari e Liberatore del popolo Romano – Luigi – Conte di potenza e di Troia, fratello di Giovanni, irritato per quanto aveva sofferto il fratello, riunì i suoi compagni e si portò in Minervino, ma invece di essere accolto fu scacciato dai cittadini, per lo che ridottosi nel Castello, fu da un capitano lombardo buttato giù da una torre […]” (32).

Siamo a conoscenza che i ribelli fratelli PIPINO: Giovanni, Luigi e Pietro furono privati dei loro domini con la conseguenza che i vari possedimenti ritornarono alla Regia Corte. Da un DIPLOMA (33) datato: “1° maggio 1359 Luigi e Giovanna d’Angiò concedevano a Roberto principe di Taranto ed imperatore di Costantinopoli alcuni feudi pugliesi. Erano MINERVINO, CERIGNOLA e TORREMAGGIORE col casale di Roiario e la terra di Sant’Andrea, ch’erano stati devoluti alla corte in seguito alla ribellione di Giovanni, Luigi e Pietro Pipino […]”. La Regina GIOVANNA PRIMA d’Angiò e il consorte LUIGI d’Angiò (erano cugini) noto come LUIGI di Taranto furono incoronati sovrani di Napoli nel gennaio del 1352.

Aggiungiamo a queste notizie ancora altre rintracciate da me, il 20 luglio 1991, nell’ARCHIVIO di STATO di NAPOLI dove si conservano due PERGAMENE e riprodotte fotograficamente, previa autorizzazione. Riporto i rispettivi TRANSUNTI:

“A 1. Gennajo  1376 (dovrebbe essere 1375). – Privilegio in pergamena della Regina Giovanna 1. Col quale concede a Giacomo Arcuccia de Capro suo Consigliere la Città di Minervino, e la Terra di Altamura site in Provincia di Bari, e la Terra di Cirignola in Provincia di Capitanata, devolute alla Regia Corte per i demeriti di Giovanni Pipino, e per altre Cause in d(ett)o Privilegio espresse”;

“1376 – Privilegio in pergamena della Regina Giovanna  per la confisca di perpetuo vitalizio frapposto alli Sig(nori) Pipino, ed abitus per la Cirignola”.

La Regina di Napoli, GIOVANNA I. d’Angiò, nel 1376 (1375) volle premiare il suo fedele Segretario e Consigliere, GIACOMO ARCUCCI di Capri, investendolo del titolo di CONTE di MINERVINO e SIGNORE delle Terre d’ALTAMURA e di CIRIGNOLA, dopo sedici anni che erano appartenute ad un altro FEUDATARIO ROBERTO principe di Taranto, che a sua volta, erano state tolte ai ribelli GIOVANNI PIPINO e i suoi due fratelli.

La piccola “Cediniole” è stata FEUDO della Famiglia PIPINO: GIOVANNI PIPINO di Barletta a partire dal 1308-1309, poi il figlio NICOLO’, a seguire il figlio di quest’ultimo, GIOVANNI iunior, il peggiore, fino alla revoca del FEUDO passato alla REGIA CORTE e poi concesso, nel 1376 (1375), al successivo FEUDATARIO GIACOMO ARCUCCI di Capri del quale abbiamo già scritto (34).

Lo STEMMA della Famiglia PIPINO di BARLETTA. Diverse le riproduzioni dello STEMMA presenti nella Chiesa di San Pietro a Majella a Napoli:

  • Risulta scolpito sui laterali e al centro della lastra litica anteriore del SARCOFAGO di GIOVANNI PIPINO di BARLETTA. Si tratta di uno scudo con fascia con tre conchiglie attraversante in diagonale;
  • Risulta scolpito alla base dello stipite destro, per chi guarda, dell’ingresso al Convento posto nella zona presbiteriale sulla destra, dopo la navata laterale di destra. E’ un ingresso imponente, Monumentale realizzato in basalto. Risale al “[…] 1495 a’ maestri Tagliaferri e Coda. Scolpita in piperno essa presenta un assai leggiadro aggiustamento di opera composita, in cui il lavoro di quadro semplice si alterna con quello intagliato, spiccando in questo ultimo vaghi e capricciosi ornamenti di grottesche in rilievo stiacciato. La sua apertura rettangolare con la sua mostra è posta fra due mezze colonne joniche, scanalate nella parte inferiore, adorne di arabeschi e sorreggenti una corniche a medaglioni. I piedistalli, posti a sostegno delle stesse, hanno gli stemmi di Casa Pipina, d’argento alla banda azzurra, caricata di tre conchiglie d’oro e rastello rosso di sopra […]” (35).
  • Risulta scolpito nel Coro ligneo retrostante l’Altare Maggiore sui laterali di destra e di sinistra. Il CORO ligneo di notevole pregio artistico (sec. XVI) è opera, del romano, GIOVANBATTISTA CAVAGNA; così scrive lo storico “Prete Napolitano” Gennaro Aspreno Galante: “[…] è notabile il lavoro degli stalli del coro operato da Giovan Battista Cavagna, che v’istoriò a contorno e a guisa di graffiti i fatti della Vergine[…]”  (36).

Cerignola, 26 settembre 2017                                    Matteo Stuppiello

Bibliografia e Note

1. LUIGI CONTE (Sac.), Cerignola, in “Il Regno delle Due Sicilie descritto ed illustrato”, Napoli, 1853, a cura di FILIPPO CIRELLI, Vol. VIII, fs. I° (Capitanata), p. 67, nota (4).

2. LUIGI CONTE (Sac.), Memorie filologiche sull’antichità della Chiesa di Cerignola precedute da un breve cenno Storico, Topografico Genealogico della stessa Città, Napoli, Tipografia di Gaetano Cardamone, 1857, p. 21.

3. TOMMASO PENSA, Cerignola, in VV., La Capitanata, Stab. Tip. CIBELLI – Cerignola, 1903, p. 33.

4-5. SAVERIO LA SORSA, La Città di Cerignola dai tempi antichi ai primi anni del secolo XIX, Molfetta, Premiato Stabilimento tipografico Stefano De Bari e Figli, 1915, 27.

6. GIOVAN BATTISTA DI CROLLALANZA, Dizionario Storico-Blasonico delle Famiglie Nobili e Notabili Italiane estinte e fiorenti, Volume Secondo – ARNALDO FORNI EDITORE – BOLOGNA, copia anastatica, 1965, p. 345.

7. BERARDO CANDIDA GONZAGA, Memorie delle Famiglie Nobili delle province meridionali d’Italia, Volume Primo, Napoli, Stabil. Tipog., del Cav.G. De Angelis e Figlio – Portamedina alla Pignasecca, 41, MDCCCLXXV, pp. 98-99.

8. CAMILLO TUTINI, Del Origine, e Fundatione de’ Seggi di Napoli suplemento all’apologia del terminio, et della varietà della fortuna, Napoli, Appresso il Beltrano, 1644. Copia anastatica di PAOLO PICCOLO, Dell’Origine e Fondazione dei Seggi di Napoli, LUCIANOEDITORE,  Napoli, 2005, pp. 42-43.

9. BERARDO CANDIDA GONZAGA, Memorie…., op. cit. p. 98.

10. CAMILLO TUTINI, Del Origine…, op. cit. pp. 42-43.

11. TONINO DEL DUCA, I Saraceni a Lucera, Lucera, 1988, Edistampa, p. 8.

12. ibid., p.6; p.8.

13. VINCENZO DI SABATO (Mons.), La storia di Luceria Apulorum, Vol. Primo – Dalle Origini all’Età Sveva, Tipografia Editrice Costantino Catapano – Lucera, 1983, p. 170.

14. ibid., pp. 168-169.

15. TONINO DEL DUCA, I Saraceni…, op. cit., p. 16.

16. GIUSEPPE TRINCUCCI, Lucera – Storia e volti nel tempo, Editrice Costantino Catapano – Lucera, 1981, p. 36.

17. MATTEO CAMERA, Annali delle Due Sicilie dall’origine e fondazione della Monarchia fino a tutto il Regno dell’Augusto Sovrano Carlo III. Borbone, Volume Secondo, Napoli, Dalla Stamperia e Cartiere del Fibreno, Strada Trinità Maggiore,  n° 26, 1860, p. 79.

18. ibid., p. 447, nota 4.

19. “[…] Il campanile è assai simile, nell’impianto, a quello della cattedrale di Lucera, eretta dopo la descritta impresa del Pipino: la struttura, dotata di un bel portale ogivale che fa da sfondo al decumano, è a piante quadrata, con i vari registri separati da un fregio a toro; l’ultimo, corrispondente alla cella campanaria, è a pianta ottagonale concluso da una cuspide piramidale […]” da GIANCARLO ALISIO, La Chiesa e il Convento di San Pietro a Majella, in AA.VV., Il Conservatorio di Musica San Pietro a Majella – Napoli , a cura di FILIPPO ARRIVA, Editalia , Roma, 1996, p. 16.

20. ibid., p. 15.

21. CAMILLO TUTINI, Del Origine…, op. cit., p. 43.

22. GENNARO ASPRENO GALANTE, Guida Sacra della Città Di Napoli, Napoli, Stamperia del Fibreno, 1872, p. 154.

23. ibid., p. 156.

24. GAETANO FILANGIERI, Chiesa e Convento di S. Pietro a Maiella in Napoli – Descrizione storica ed artistica con Tavole, Napoli, Tipografia dell’Accademia Reale delle Scienze – Diretta da Michele de Rubertis, 1884, pp. 2-3, nota 2. Dal Vol. II dei “DOCUMENTI PER LA STORIA LE ARTI E LE INDUSTRIE DELLE PROVINCIE NAPOLETANE”, pp. 2-3, nota 2.

25. ibid., p. 45. Si ringrazia la Prof.ssa GIUSTINA SPECCHIO, componente delle nostre Istituzioni Culturali,   per la trascrizione dei testi in latino e le rispettive traduzioni in italiano.

26. ibid., pp. 44-45.

27. ibid., p. 45, nota 1

28. Per approfondire l’argomento si veda MATTEO STUPPIELLO, Un omicidio nella Chiesa Madre nel ‘300, pubblicato nel nostro sito web – www.archeoclubcerignola.com. – Cerignola, 18 novembre 2016.

29. BERARDO CANDIDA GONZAGA, Memorie…, op. cit., p. 99.

30. MATTEO CAMERA, Annali…, op. cit. p. 417.

31. LUIGI CONTE (Sac.), Memorie filologiche…, op. cit., p.21.

32. BERARDO CANDIDA GONZAGA, Memorie…, op. cit., pp. 99-100. Si vedano: CAMILLO TUTINI, Del Origine…, op. cit., pp. 45-47; MATTEO CAMERA, Annali…, op. cit., pp. 417; pp. 448-450.

33. GIUSEPPE CONIGLIO, Feudatari di Puglia in un diploma di Roberto principe di Taranto, in Studi di storia pugliese in onore di Giuseppe Chiarelli, a cura di MICHELE PAONE, Galatina, 1972, Vol. I, p. 633. Questa pubblicazione, che riporta la PERGAMENA pubblicata per intero nella indicata pubblicazione, fu rintracciata da me il 19.9.1990 a Bari presso la Biblioteca Nazionale “Sagarriga Visconti Volpi”.

34. MATTEO STUPPIELLO, Il Conte Giacomo Arcucci di Capri Feudatario della “Terra di Cidiniole” nel 1374, pubblicato sul nostro sito web – www.archeoclubcerignola.com. – Cerignola, 13 ottobre 2016.

35. GAETANO FILANGIERIChiesa e Convento…, op. cit., pp. 44-45.

36. GENNARO ASPRENO GALANTE, Guida Sacra…, op. cit., p. 156.

Cerignola – Stemma del Feudatario Giovanni Pipino di Barletta, senior, scolpito sul suo Sarcofago, realizzato dal giovane collaboratore (artista) Michele Braschi  – Tecnica mista: acquerello e matita – 25.09.2017.

Napoli – Chiesa di San Pietro a Majella  – Sarcofago del Feudatario di Cerignola Giovanni Pipino di Barletta – Sec. XIV – Foto Matteo Stuppiello 26.7.1986.

Napoli – Chiesa di San Pietro a Majella  – Sarcofago del Feudatario di Cerignola Giovanni Pipino di Barletta – Sec. XIV – Foto Matteo Stuppiello 24.7.2017.

Napoli – Chiesa di San Pietro a Majella  – Sarcofago del Feudatario di Cerignola Giovanni Pipino di Barletta – Sec. XIV – Particolare: lo Stemma – Foto Matteo Stuppiello 24.7.2017.

Napoli – Chiesa di San Pietro a Majella  – Zona presbiteriale – Lato destro – Ingresso al Convento – Sec. XV – Foto Matteo Stuppiello 26.7.1986.

Napoli – Chiesa di San Pietro a Majella  – Zona presbiteriale – Lato destro – Ingresso al Convento – Sec. XV – Stemma del Feudatario Giovanni Pipino di Barletta, senior, scolpito sul piedistallo litico del pilastro destro – Foto Matteo Stuppiello 24.7.2017.

Napoli – Chiesa di San Pietro a Majella  – L’artistico Coro ligneo del XVI Sec. sul quale sono scolpite le insegne della Famiglia Pipino – Riproduzione tratta da: GAETANO FILANGIERI, Chiesa e Convento di S. Pietro a Maiella in Napoli – Descrizione Storica e Artistica con Tavole, Napoli, 1884 p. 50.

NAPOLI – ARCHIVIO DI STATO – Pergamena del 1375 con la quale viene donata al Conte Giacomo Arcucci di Capri “Terram Cidiniole” tolta ai ribelli fratelli Pipino – Riproduzione autorizzata.