Il Museo Etnografico Cerignolano (1979) è CUSTODE, tra l’altro, di numerosi OGGETTI e ATTREZZI indispensabili per “condurre” una vita quotidiana casalinga annuale. Vi erano intensi “momenti” preparatori ed esecutivi che si esplicavano con intensa energia e creatività e ai quali partecipavano tutti i componenti del nucleo familiare.
Fra questi “momenti”, chiamiamoli produttivi, vi era la lavorazione del pomodoro fino ad arrivare al confezionamento della salsa. La CONSERVAZIONE doveva bastare per soddisfare la famiglia per un intero anno.
Di tutti questi passaggi, questa volta, puntiamo l’attenzione sulla TAPPATURA della bottiglia. Una volta riempita di salsa calda, come da prassi, la tappatura rappresentava una fase molto delicata, fatta di gesti, di ritualità e di passaggi ricchi di tensione. Non era permesso l’ERRORE dato che durante la BOLLITURA delle BOTTIGLIE, il lavoro spesso poteva perdersi in un “attimo” e nel vero senso della parola. L’attesa della fase di BOLLITURA era caratterizzata da notevole TENSIONE.
Oggetto della nostra trattazione, dunque, è il TAPPI BOTTIGLIE che quasi ogni famiglia possedeva nella credenza della cucina.
Il TAPPI BOTTIGLIE presente nel Museo Etnografico Cerignolano (1979), risalente agli anni ’50, è riposto in una credenza di legno molto semplice. Lo abbiamo fotografato e suddiviso nei suoi componenti. Due sono le materie che lo compongono: il legno e il ferro.
È costituito da due elementi separabili:
– il PISTONE di legno terminante con un anello a fascia larga di metallo atto a proteggerlo, mentre la parte superiore reca all’estremità un pomolo di legno appena schiacciato. Il suddetto pistone, attraversante la parte centrale, forma un tutt’uno con l’elemento ligneo esterno che lo contiene;
– l’altro elemento ligneo sottostante sul quale si inserisce il primo, costituente la parte più estesa in lunghezza, reca nell’interno un CILINDRO METALLICO che costituisce la parte centrale, la cosiddetta “anima” nel quale scivola il pistone ligneo.
L’operazione consisteva nel riporre il tappo di SUGHERO nella parte iniziale del secondo elemento sottostante, ed essendo di poco più ampio della circonferenza del cilindro stesso, veniva di poco forzato con la mano; quindi, si inseriva il primo elemento, premendo il POMOLO in modo da farlo scivolare sino a trascinare il TAPPO nella bottiglia. Per fare in modo che il tappo potesse arrivare all’imboccatura della bottiglia ed esattamente nella parte superiore del collo della bottiglia, bisognava premere con forza o addirittura aiutarsi con un piccolo martello, battendo sul pomolo dopo aver posto sopra lo stesso un piccolo canovaccio di stoffa per attutire i colpi.
I TAPPI di SUGHERO, prima di essere utilizzati, dovevano essere riscaldati in acqua calda all’interno di un tegame per ammorbidirli. Ed anche per questa operazione, ci voleva notevole esperienza poiché andava ben calcolato il tempo perché si ammorbidissero al punto giusto. Aggiungo che i tappi di sughero li acquistavamo nell’ampio negozio dei Fratelli Vincenzo e Donato Dirella in Corso Gramsci 41 (oggi 68).
Ma non era finita! Bisognava effettuare una LEGATURA con lo SPAGO sottile e resistente che andava ad imbrigliare l’orlo della bottiglia e il tappo. La legatura veniva posta a croce. Così, durante la bollitura in acqua, con l’aumentare della temperatura, il tappo, imprigionato, non poteva “uscire”. Anche questa era una operazione molto complicata e delicata che richiedeva concentrazione dato che non bisognava sbagliare nemmeno un “passaggio” nell’imbracatura dello spago. Erano passaggi OBBLIGATORI. Il silenzio e la sosta dei presenti erano d’OBBLIGO per ogni bottiglia “LEGATA”. Tutto era un “RITO” che si ripeteva annualmente che veniva trasmesso di generazione in generazione
Questa narrazione potrebbe essere molto più ampia nei dettagli poiché l’ho vissuta in prima persona. La tradizione della SALSA, preparata in casa, l’ha da sempre portata avanti mia madre Lucia Russo, ereditata, a sua volta, dalla madre Ripalta Dibisceglia e, andando a ritroso, dalle generazioni precedenti. Tutti noi partecipavamo nella mastodontica operazione della SALSA. Una mobilitazione di tutto il nucleo familiare: mio padre Michele, la prozia Antonia Dibisceglia, mia sorella Maria, mio fratello Antonio e, in ultimo, lo scrivente. La cucina è rimasta quasi identica ed è a due passi dallo studio dove sto scrivendo l’articolo. I ricordi mi portano nei lontani anni ’50. Gli oggetti necessari per le varie fasi della “passata” di pomodoro sono conservati, custoditi, tra cui anche il tappi bottiglie, muti per ora, cercando di dare “voce” agli stessi attraverso la narrazione e, soprattutto, con i RICORDI. Ricordo bene tutto, avevo quattro-cinque anni. Mia madre era bravissima nella TAPPATURA e, soprattutto, nell’IMBRIGLIARE con lo spago il collo della bottiglia e il tappo. Mi fermo! Troppi sono i ricordi, le emozioni, i miei compianti CARI.
Cerignola, 13 ottobre 2025 Matteo Stuppiello






